sabato, ottobre 06, 2007

Gasperini, la forza delle idee "Non sono un ayatollah del pallone"


LA REPUBBLICA - IL LAVORO 5-10-2007

di:GESSI ADAMOLI


L´allenatore rossoblù parla della città, della squadra, dei tifosi e ammette: "Le accuse dopo il Milan mi hanno ferito molto"

Il tecnico si confessa: Genova è fantastica, ma deve osare di più

Il parallelo: Torino è più avanti, trasformata come un guanto. Io vivo qui da 15 mesi e Genova mi sembra un po´ incatenata

La delusione: Fossimo stati in Spagna dopo la partita contro la Samp la gente avrebbe sventolato i fazzoletti bianchi per protestare contro il cattivo spettacolo

La critica: Lo scorso anno qualcuno avrebbe voluto la mia testa, ma non Preziosi. Non sono un capopopolo, la fiducia la conquisto sul campo

La tattica: Mi hanno affibbiato l´etichetta di offensivista e non mi dispiace. Ma io non sono un velleitario che insegue l´utopia del bel gioco a ogni costo

Il Ducale, il palazzo della Regione e quello della Borsa

il Carlo Felice: dalla terrazza della redazione di Repubblica, Giampiero Gasperini s´affaccia sul cuore della città. «Genova è bellissima - commenta - A chi come me viene da fuori ma che ormai vive qui da 15 mesi, dà però la sensazione di essere un po´ incatenata. Ha grandi potenzialità, ma non le sfrutta appieno. Certamente ha ampi margini per decollare, probabilmente però i tempi non sono ancora maturi.

Prendiamo il centro storico, dove spesso mi piace andare a passeggiare. Si capisce che molto è stato fatto, ma che molto bisogna ancora fare. In questo senso Torino è più avanti, la zona di Porta Palazzo, quello che noi chiamiamo il Quadrilatero, è stato rivoltato come un guanto. Ora è davvero il cuore pulsante della città e nessuno di Torino avrebbe mai pensato che una zona così degradata potesse compiere una simile trasformazione. Il recupero dei centri storici di tutta Italia deve essere considerata una priorità».

Com´è il rapporto dell´allenatore del Genoa con Genova e i genovesi? «Dal punto di vista calcistico questa è la città che allo stato attuale esprime il maggiore entusiasmo come dimostrano gli oltre 40 mila abbonati complessivi tra le due squadre cittadine.

A fare da traino è stata la promozione del Genoa, a quel punto anche i tifosi della Sampdoria hanno dovuto fare le code ai botteghini. È davvero incredibile che questa città sia rimasta 12 anni senza il derby in serie A.

Togliamo 150 teppisti, il derby a Genova è sempre stato sfottò e coreografie.

È molto diverso da quello di Torino, dove la sfida tra Juve e Toro continua ad essere vista dall´ottica della lotta di classe: il debole contro il forte.

Torino ha avuto emigrazione massiccia, mentre Genova continua ad avere sua identità forte: ci si conosce, si ha senso di appartenenza. Così i rapporti tra tifosi sono molto più semplici. Senza contare che a Torino ci sono certe frange molto pericolose e violente che a Genova non esistono».

Promette già adesso che il derby di ritorno il Genoa lo giocherà con un altro piglio. «Non ho difficoltà ad ammettere che è stato un derby molto brutto.

Fossimo stati in Spagna, la gente sugli spalti avrebbe sventolato i fazzoletti bianchi per protestare contro uno spettacolo che non c´era.

Invece, mi hanno fatto più complimenti quella volta che quando lo scorso anno avevo vinto delle partite per 3 a 2 o 4 a 3...

Sono stato costretto a scegliere di fare quella partita per evitare le ripercussioni che un risultato negativo avrebbe avuto su ambiente e tifosi. Io personalmente non sono uno che cambia il suo parere sulla squadra a seconda del risultato, ma purtroppo non tutti hanno questa serenità di giudizio».Cosa sarebbe successo, allora, se Coppola all´ultimo istante non avesse salvato quella palla sulla linea? «Perché, invece, non ci domandiamo cosa sarebbe successo, se l´arbitro avesse fischiato il rigore su Borriello o se avesse espulso Bellucci?»

Quanto anche la sua società è condizionata dai risultati? «Dico la verità: il presidente Preziosi avrà anche fama di mangiallenatori, però il sottoscritto è messo nelle condizioni di operare con la massima serenità. Con me personalmente ha sempre cercato di essere positivo, indipendentemente dai risultati: anche prima del derby o della partita vinta con l´Udinese. Eppure c´è chi avrebbe voluto la mia testa.

Per esempio lo scorso anno prima della partita di Treviso o prima di quella di Crotone.

La mia credibilità posso dire di essermela guadagnata sul campo, Genova è una piazza che non ti regala niente. E sono perfettamente consapevole che questa fiducia va continuamene alimentata. Io non sono un capopolo, con tutto il rispetto perché bisogna essere bravi per farlo.

Ma anche loro, se non portano i risultati vengono abbandonati dalla gente».

Non ha avuto esitazioni ad affrontare la partita con l´Udinese con una formazione sperimentale. «Era semplicemente quella che, in quella determinata occasione, offriva le garanzie maggiori. Qualcuno mi ha dato del folle. Poi, però, dopo la vittoria ero diventato un grande stratega. In Italia è così: sei un mago se vinci, uno scemo se perdi.

Io però non credo funzioni così, come non penso che sia tutto lecito pur di vincere.

La verità è che la logica del risultato a tutti i costi ha fatto danni pazzeschi. Però io non sono nemmeno il velleitario che insegue l´utopia del bel gioco fine a se stesso, semplicemente sono convinto che giocando bene si hanno più probabilità di vincere una partita. Così mi hanno voluto affibbiare l´etichetta di allenatore offensivista. Ma non la considero un´offesa, tutt´altro».

C´è una qualità che non si può allenare ma che è fondamentale per un calciatore che fa parte di un gruppo: l´intelligenza. «La scelta va fatta a monte, quando il giocatore viene acquistato. Si parla di tecnica, tattica, di capacità atletiche ma il cervello non viene considerato.

Il nostro è un gruppo formato da persone intelligenti e mature, una base importante per poter fare un buon lavoro.

La gestione dello spogliatoio è fondamentale, ci sono particolari quotidiani che non vanno trascurati: serve gente che capisca che si gioca in 11 ma che la rosa della squadra è formata da 22 persone. Con me sanno che non esistono preclusioni. Di Vaio è rimasto fuori due partite, chissà che tra un paio di settimane non torni ad essere l´idolo dei tifosi: il calcio è questo. Importante è che un giocatore si senta coinvolto e che abbia sempre dentro la voglia di dimostrare quello che vale: se subentra l´apatia sei fregato».

Racconta le lacrime di Fabiano quando dopo il riscaldamento e si è dovuto fermare e ha saltato la partita con l´Udinese: «Piangeva, voleva giocare anche zoppo. Sono queste le risposte che vuole un allenatore.

Come anche leggere negli occhi di uno che sta fuori la voglia matta di giocare o la delusione di chi viene sostituito.

Ma sempre con grande educazione e civiltà, perché in un gruppo il rispetto viene prima di tutto».

Ma giustifica anche qualche piccola reazione fuori dalle righe di Leon nel passato: «Lui, si sa, è uno spirito libero...»

E se un colpo di bacchetta magica consentisse di rigiocare la famigerata partita con il Milan?

«Ma la nostra partita non era stata poi così negativa, anzi per mezz´ora era stata buona.

Senza dimenticare che mancavano Marco Rossi e Borriello.

Eravamo una squadra largamente nuova, c´era uno scotto da pagare.

Come dimostrano i due contropiede che abbiamo subito su calci d´angolo a nostro favore.

Ma le critiche sono state eccessive.

E dico la verità: mi hanno ferito».
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